martedì 6 settembre 2011

PABLO MILANES, LONTANO, LONTANO NEL TEMPO

PABLO MILANES, LONTANO, LONTANO NEL TEMPO….

Il passato 13 di agosto, casualmente il giorno dell’ottantacinquesimo compleanno di Fidel Castro, El Nuevo Herald, il periodico gradito ai mafiosi controrivoluzionari di Miami, ha pubblicato un’intervista di Sarah Moreno al cantautore cubano Pablo Milanès. Come tutti sanno Pablo è stato uno dei cantori della Revoluciòn e si è sempre dichiarato un fedele seguace di Fidel Castro. Almeno fino a quando non ha cominciato a diventare ricco….
A questa intervista di Pablo Milanès replica Edmundo Garcia, giornalista indipendente residente negli USA, conduttore del programma televisivo LA TARDE SE MUEVE. Garcià contesta duramente l’intervista di Pablo Milanes il quale a sua volta replica con vigore, difende le sue posizioni e prosegue con insulti volgari che poco nobilitano colui che scrisse versi indimenticabili.
Leggendo l’intervista di Sarah Moreno, la risposta di Garcia e la replica di Pablo Milanès si può notare come tutti e tre stiano tirando acqua al proprio mulino infischiandosene altamente dell’etica professionale. La Moreno trasforma l’intervista di Pablo Milanès in una specie di adesione del trovador cubano alle posizioni dei mafiosi di Miami. Nulla di tutto questo nelle parole di Pablo che fa una lunga digressione sull’esperienza rivoluzionaria cubana con riconoscimenti e critiche, in parte condivisibili ma che lasciano intravvedere uno sfacciato opportunismo indegno del personaggio. Sarà che i biglietti del concerto non si stavano vendendo…. La contestazione di Edmundo Garcia pecca di superficialità, dell’intervista riporta solo quello che interessa a chi intende denigrare il personaggio, evitando accuratamente di riportare le frasi che contraddicono la sua tesi. La replica di Pablo Milanès a Garcia è di una violenza inaspettata, classica di chi viene colto in “fragranza di reato” da un avversario di vecchia data. Poteva, anzi doveva evitarselo, non è da persona di alta cultura farsi paladino della destra più violenta e reazionaria, definirsi “rivoluzionario di sinistra” e scagliarsi violentemente contro chi approfitta della tua caduta di stile. Sicuramente questa polemica non fa bene a nessuno, non a Pablo, non al suo popolo cubano e nemmeno ai suoi estimatori, sottoscritto compreso. Sicuramente porta acqua al mulino di quella feccia umana che si è macchiata di crimini inauditi sotto la protezione del governo USA e che fa della diffamazione e della menzogna la sua arma micidiale che miete vittime in tutto il mondo, soprattutto tra coloro che si ostinano a definirsi di sinistra cavalcando bugie e luoghi comuni completamente ignari dell’imbroglio di cui sono vittime.
Sta di fatto che negli ultimi anni ogni volta che esce da Cuba per dei concerti, Pablo Milanès fa precedere il tutto da interviste critiche contro il governo cubano, con speciale accanimento verso l’età dei dirigenti di questo paese. Io diffido sempre di coloro che attaccano politici e governati per la loro età, tipo Beppe Grillo per intenderci, perché penso che un rappresentante delle istituzioni vada giudicato in base alle sue capacità, ai suoi valori e soprattutto all’onestà con cui svolge il proprio incarico, l’età dovrebbe apportare quell’indispensabile qualcosa in più che si chiama esperienza, il che mi pare tutt’altro che riprovevole! A parte che i dirigenti cubani non sono tutti vecchi, per esempio il Ministro di Cultura Abel Prieto sta lì da moltissimi anni ed è ancora giovane, il motivo per cui gli anziani sono in maggioranza è anche dovuto al fatto che alcuni giovani ministri sono stati recentemente destituiti perché colti con le mani nella marmellata…. Dopotutto anche sulla sponda europea da quando vanno di moda i giovani al potere la corruzione ed il malaffare stanno dilagando….
Tornando all’intervista, o meglio alle interviste visto che ne ha rilasciate più di una a giornali, radio e tv, diciamo semplicemente che queste critiche di Pablo Milanès sono quantomeno discutibili. Infatti questa volta l’ex cantore delle gesta di Fidel e del Che ha rilasciato dichiarazioni molto sopra le righe e sconcertano soprattutto le sue contraddizioni, poco degne per un uomo di cultura quale indiscutibilmente egli è. Ognuno ha diritto di cambiare opinione, ci mancherebbe, in quasi tutto il mondo la maggioranza di coloro che facevano le barricate negli anni ’60, oggi stanno comodamente dall’altra parte, però da un personaggio tanto coinvolto e coinvolgente da infuocare milioni di giovani con i suoi inni alla Revoluciòn, mi sembra giusto pretendere un minimo di coerenza. Con gli anni lo spirito rivoluzionario può venire meno, uno si stanca e manca di energia propulsiva, però da qui a dare corda a coloro che ti hanno aggredito con ogni tipo di violenza, ce ne vuole! Perché è proprio questo che Pablo Milanès sta facendo, sta dando corda alle menzogne più vergognose che si possano ascoltare contro il popolo cubano e la sua ostinata difesa dell’indipendenza, dell’autonomia e delle conquiste sociali alle quali non vuole rinunciare, costi quel che costi. Durante le interviste Pablo Milanès ha sostenuto di essere stato fidelista ma di non esserlo più, e questo passi, contraddizioni sue in quanto il leader della Revoluciòn è indiscutibilmente uno dei personaggi più coerenti che siano mai esistiti, ma ha addirittura dichiarato che non farebbe un concerto per Fidel Castro ma lo farebbe piuttosto per le Damas de Blanco, quelle quattro svergognate che fingono di protestare vestite come signore dell’alta società ed ingioiellate con i soldi della mafia fascista di Miami!!!! Le beghine infatti non hanno tardato a ringraziarlo affettuasamente… Non dimentichiamoci che la mafia cubano americana con l’appoggio e la copertura del governo degli Stati Uniti ha organizzato atti terroristici che hanno causato la morte di oltre tremila cubani, senza parlare delle migliaia di feriti e mutilati e degli enormi danni causati all’economia cubana dal bloqueo economico imposto dal governo USA che è tanto vergognoso da suscitare la contrarietà di tutti i governi del mondo, di qualsiasi colore politico essi siano.
Ancora una volta il buon Pablo ha rilasciato queste interviste pochi giorni prima di un suo concerto, stavolta a Miami, aggiungendo un nuovo capitolo a quelli già scritti da lui stesso e da altri artisti o pseudo tali che, a corto di ispirazione, elemosinano un posto nel mondo dello spettacolo che altrimenti non riuscirebbero ad avere. Parlare male di Cuba aiuta a promuoversi e ad aprire porte che senza queste offerte di deretano rimarrebbero chiuse. Che lo facciano dei giovani falliti in cerca di un pezzo di pane potrebbe pure essere perdonato, ma che lo faccia un grande personaggio della musica internazionale, fa molto pensare.
Quale può essere il motivo che spinge un rivoluzionario, come si definisce tutt’ora Pablo Milanès, a fare da eco alla peggior feccia umana proprio nel periodo di maggior recrudescenza dell’aggressione mediatica verso il suo popolo che tanto ha sofferto e soffre a causa di questi criminali senza pudore che trovano protezione nel paese che si dice paladino della lotta al terrorismo? Si potrebbe pensare al denaro, ma Pablo si è molto arricchito con gli anni, oppure ad un’inversione del suo pensiero politico, ma nelle sue interviste si dichiara un rivoluzionario di sinistra, o forse ad una critica costruttiva per migliorare le condizioni economiche del paese, ma proprio in questi ultimi anni è in atto un grande cambiamento nella struttura economica cubana e si stanno rinnovando molti quadri dirigenti. Perché nei periodi di maggior immobilismo sosteneva la Revoluciòn e la contesta ora che sono in atto profondi cambiamenti? Cos’è che sta alla base di queste sue contraddizioni? Quali sono le motivazioni che giustificano questo suo incredibile comportamento? La domanda sembra non avere risposte credibili, invece le risposte ci sono.
Io credo che un artista sia tale quando sa cogliere in anticipo i cambiamenti, quando sa leggere la realtà che lo circonda prima di degli altri, quando sa rinnovarsi nella continuità della sua opera e sa cogliere quello che sfugge a chi artista non è. Ecco, credo proprio che Pablo Milanès non sia più nulla di tutto questo, che non abbia più lo spirito combattivo ed innovatore che lo hanno fatto grande, credo che sia giunto ad un punto di totale scollegamento con la realtà che lo circonda e che non sia più in grado di guardare oltre il proprio portafogli e gli interessa di una stretta cerchia di amici e famigliari. Troppi concerti all’estero senza grandi motivazioni che non fosse il denaro, troppe sviolinate con artisti famosi di tutto il mondo e soprattutto troppa assenza dall’unico luogo dove un artista deve stare, cioè in mezzo alla gente e con la gente, non su palcoscenici sempre più lontani, lontani dal suo pubblico e da se stesso.

Questa lontananza dalla gente mi ricorda tanto quegli artisti “rivoluzionari” che in gran parte del mondo negli anni ’60 hanno fatto fortuna cantando la rivoluzione ed il “sol dell’avvenir” per poi rifluire al primo cambio di vento verso posizioni individualiste, quando non reazionarie, con un’attenzione speciale al “mercato” ed al conto in banca, magari nei paradisi fiscali dei grandi capitalisti.
Pensando a tutto questo ricordo quando mi trovavo in Italia durante le ultime elezioni politiche e, dopo l’ennesima vittoria di Berlusconi, un noto conduttore televisivo chiese ad uno di questi artisti rivoluzionari rifluiti cosa ne pensasse, la risposta fu lapalissiana: “credo che Berlusconi possa fare bene”. Mi si gelò il sangue! Poi ho iniziato a riflettere e sono arrivato alla triste conclusione che questi signori sarebbero dei perfetti sconosciuti se non avessero cavalcato le coraggiose ribellioni di chi si era stancato di farsi sfruttare come un animale, di chi si guadagnava il pane con il sudore della fronte e pagava con il sangue il voler difendere la propria dignità di uomo. Questi signori hanno fatto fortuna cantando la protesta, la ribellione, la disobbedienza civile e la lotta per l’emancipazione dei popoli, salvo poi tacersi quando le cose si sono messe male, quando i governi criminali hanno represso nel sangue, manganellato, torturato, ucciso e fatto scomparire coloro che osavano opporsi al loro ordine o meglio disordine, costituito. Hanno guardato dall’altra parte, hanno continuato a fare cassa e si sono rivolti al “mercato” fino a diventarne parte. Se Pablo Milanès è quel “rivoluzionario di sinistra” che dice di essere, perché invece di leccare le natiche dei reazionari che gli offrono concerti in cambio, non invita tutti i cubani dentro e fuori dell’isola a farsi paladini di una grande battaglia di progresso che sconfigga quei vecchi immobilisti che lui tanto critica, perché non si attiva per far sì che il percorso rivoluzionario intrapreso e che lui ha tanto adorato, riprenda la retta via e si incammini verso un futuro luminoso e “rivoluzionario di sinistra”? Che c’entrano i fascio-terroristi di Miami con le sue idee rivoluzionarie? A me sa tanto che di rivoluzione e di sinistra a Pablo interessi veramente poco, altrimenti non offrirebbe il fianco ai terroristi battistiani che vivono indisturbati nel paese della lotta al terrorismo….
Pablo Milanès senza la Revoluciòn, senza quei dirigenti che ora critica e senza la dinamica che generò l’estetica culturale nella quale seppe ben inserirsi, al massimo sarebbe diventato un suonatore di bolero a Bayamo, o con un po’ di fortuna all’Avana. Potrebbe capitargli come ad Obama, che nemmeno è “rivoluzionario di sinistra”, il quale con l’intento di compiacere una destra che mai lo accetterà, ha confuso la sua base, quella che a lui ha dato il potere ed a Pablo Milanès la fama. Sembra che a Pablo sia venuta meno pure la memoria, che si sia dimenticato della storia di quest’Isola e meno che meno di quella del mondo, quella storia bellissima che ha tanto orgogliosamente cantato e che ora late nel suo maldestro tentativo di non finire dimenticato. Potrebbe capitargli tutto questo, anzi, è già capitato! Infatti al suo concerto all’American Airlines Arena di Miami ad ascoltarlo non c’era il pieno di 20 mila persone come previsto ma poco più della decima parte. E fuori a protestare contro la “dittatura cubana” non c’erano i quasi due milioni di cubani emigrati negli USA “per fuggire alla dittatura” come vorrebbero farci credere, ma al massimo un centinaio di persone. Molte, molte meno di quelle che vengono pagate per fare scena.

E mi tornano alla mente le dichiarazioni di un diplomatico USA riguardo alle costose misure messe in atto dal Governo degli Stati Uniti per abbattere la Revoluciòn. L’individuo poneva l’attenzione sull’enorme costo di queste misure e sulla loro assoluta inutilità, si pagavano stupidi mercenari che non avevano nessun seguito a Cuba, si buttavano al vento enormi risorse pubbliche che producevano il contrario dell’effetto desiderato. E terminò invitando il Governo degli Stati Uniti a cambiare rotta, a dirigere i propri sforzi verso interlocutori credibili. Ed indicò quali erano gli unici settori su cui valeva la pena indirizzare l’attenzione: le forze armate e LA CULTURA! Nella sua analisi concluse che tra le prime difficilmente si sarebbero raggiunti risultati positivi, tra le seconde invece c’erano delle possibilità concrete….

Che tenga una buona vecchiaia il buon Pablo, che la memoria lo assista e gli impedisca di deragliare rovinosamente a destra verso lidi dove veramente se non sei d’accordo ti manganellano, ti torturano, ti assassinano, ti fanno sparire e dove spesso non ti salva nemmeno il conto in banca….

La Habana, 1settembre 2011